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Siamo medici, testimoni della sofferenza di uomini, donne e bambini e della sofferenza delle persone migranti giacché le nostre attività nell’ambito del nostro artigianato di personale sanitario ci hanno permesso l’incontro.

Vogliamo che la nostra testimonianza si faccia ambasciatrice dei nostri e delle nostre pazienti, la cui voce, nel mondo, non porta. Vogliamo essere vigili affinché i cittadini e le cittadine non si addormentino, cullati.e dalle immagini del tragico diluito nel ripetersi mediatico. E quindi:

Una Carta ? Un argumentario etico ? Veramente ?

Nel Medioevo, una Carta designava un titolo di proprietà, quello che mi appartiene in proprio non è affare di altri e quindi essi non ne hanno cura.

Una Carta, quindi, vincola solo me e libera gli altri, il mondo, la società: E’ questa la nostra intenzione?

È veramente adeguato qui parlare di etica?

È veramente utile mettere per iscritto e ripetere ancora una volta che lasciare uomini e donne, esseri umani come me, ai margini della società e innominabile?

Dopo la follia micidiale del ventesimo secolo, è necessario un testo in più per spiegare ancora e sempre, fino alla nausea, che un genocidio è prima di tutto l’omicidio di uomini, donne e bambini? Occorre ancora spiegare che l’esclusione uccide e che, se questo verbo è ormai banalizzato, significa togliere la vita?

Una Carta, un’etica descrive ciò che è morale fare e far subire. E’ un’apertura alla discussione, come se fosse ancora il momento di discutere dando così il diritto di parola a colui che nega al mio prossimo la qualità di essere umano.

Non si tratta qui di un’azione nell’ambito di un’etica, fosse pure di cura: La Betty Bossi della buon’azione non è più ammissibile o troppo semplice: non sono una buona persona.

Siamo ambasciatori e ambasciatrici di quei pazienti e di quelle pazienti senza voce che ci hanno invitati a condividere le loro sofferenze, che ci hanno accolti nelle loro vite e questa relazione si è costruita spesso al di là delle parole con il linguaggio del dolore umano: un linguaggio che è probabilmente più familiare a noi che ad altri e che ci obbliga ad agire.

Non è il momento di scrivere una Carta o di ripetere le parole ben conosciute dell’etica. È arrivato il momento del grido che fa vacillare, sconvolge le certezze benpensanti, testimonia.

Una Carta forse e malgrado tutto

Una Carta per scrivere con la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 che  » la loro ignoranza e il loro disprezzo (…) hanno condotto ad atti barbari », che « non sarà fatto alcuna distinzione fondata sullo statuto politico, giuridico e internazionale del paese o territorio di provenienza di una persona », e che  » di fronte alla persecuzione, ognuno ha il diritto di cercare asilo e di godere dell’asilo in altri paesi. »

In particolare, una Carta per far rispettare la dignità di quelle persone la cui voce fatica a farsi sentire e delle quali noi percepiamo la sofferenza.

Una Carta infine per dire che, sapendo tutto questo in qualità di medici ma anche come cittadini e cittadine, non è più possibile, dimenticandolo, credersi innocenti.